Teatro

Zagal e la sua poco bizzarra teatro-novela

Zagal e la sua poco bizzarra teatro-novela

Prima di tutto va chiarito un punto: la tecnica usata da Juan Carlos Zagal in L’uomo che dava da bere alle farfalle, e che già avevamo avuto modo di apprezzare in Sin sangre nell’edizione 2008 del Festival, è di grande fascinazione ed efficacia. L’uso della proiezione filmica mista a recitazione dal vivo genera notevole suggestione e, per una volta, si ha l’impressione di assistere ad una nuova strada estetica del teatro. Detto questo, riteniamo che la suddetta tecnica sia, per l’appunto, un mezzo con il quale arrivare a raccontare qualcosa, e non debba essere destinata ad essere la protagonista assoluta di uno spettacolo che, purtroppo, non risulta sostenuto da una solida drammaturgia. Irrita non poco, infatti, l’intento del regista di puntare su di un’emozione che purtroppo non arriva; anzi, le musiche dalle soporifere sonorità tardo-new-age, le storie strappalacrime dei protagonisti, ed il film fantasy che uno di essi, in quanto regista cinematografico, sta girando per espiare i propri sensi di colpa, appaiono pretestuosi e poco interessanti, con il solo risultato di annoiare gran parte del pubblico, che guadagna frettolosamente l’uscita ben prima della scena finale. il risultato è quello di uno spettacolo molto più vicino ai contenuti di una telenovela di quanto non lo sia la Bizarra di Spregelburd.

Insomma, ancora una volta, la tecnica ha il sopravvento sull’arte, fallendo proprio, però, dove essa è più necessaria: infatti, a confondere la già difficile attenzione degli spettatori, contribuiscono i sottotitoli con la traduzione, che compaiono e scompaiono, che non vanno in simultanea con la scena, che sono formattati in maniera così bislacca da dividere le frasi senza nessun criterio, a volte troncandole e lasciando le parole finali di un periodo accanto a quello successivo. Uno spettacolo, insomma, non riuscito, a differenza di quel Sin Sangre che abbinava alla tecnica mista un appropriato copione e che la utilizzava per un’azione non pretestuosa. Un’occasione persa per l’artista, per il Festival e per il pubblico.